La terra veneta è segnata come nessun’altra in Italia dalla presenza di ville signorili le quali, assieme alle chiese, costituiscono i tratti essenziali di numerosi centri. Breganze ne è un esempio evidente: da qualsiasi parte la si raggiunga viene preannunciata dalle folte macchie dei parchi che circondano le ville padronali poggiate su bellissimi colli, tra i quali si staglia e svetta l’elegante sagoma del campanile.

Più nascoste, ma con una presenza rilevante, una rete di piccoli edifici medioevali, le torri Colombare.

Il tutto fa di Breganze un ambiente singolare per peculiarità paesaggistiche e architettoniche, oltre che produttive per la rinomanza raggiunta nell’ultimo secolo dai suoi prodotti agricoli e manifatturieri.

Breganze è situata tra collina e piano lungo la pedemontana, zona certamente abitata già in epoca romana e percorsa dalla “Pista dei Veneti”.

I romani diedero alla pianura un’organizzazione territoriale a “centuriazioni”, sulle quali si svilupparono centri e percorsi di collegamento.

Non si hanno comunque notizie documentarie sul paese fino al 983, quando “in Bragancio” furono donati dei terreni ai monaci benedettini da parte del Vescovo di Vicenza. Probabilmente allora Breganze era uno dei pagus, nuclei di impostazione romana che intorno al 1000 vennero soppiantati dalle pievi cristiane.

Secondo il Maccà la pieve originaria del paese era dedicata a S. Martino e “stava per un tiro di saetta dal colle sopra cui esisteva il castello” in un luogo oggi difficilmente definibile. Il XII e il XIII secolo videro Breganze rivestire un ruolo importante per la presenza della famiglia feudataria dei Poncio, che possedevano la zona centrale pedemontana e numerosi centri della media e alta valle dell’Astico.

Questa fase si concluse per lo scontro con gli Ezzelini.

Nel 1227 Alberico da Romano conquistò e distrusse la rocca di Valeriano conte di Breganze, sul colle di S. Lucia; prima del 1250 i Poncio vennero sconfitti, espropriati dei beni e molto probabilmente uccisi ad opera di Ezzelino III il quale comunque risparmiò Naimerio Poncio, che sposò Cunizza da Romano, sorella del tiranno.

Dal Codice Eceliniano (1250) si possono dedurre le ripartizioni del territorio nella prima metà del XIII secolo: tutte le proprietà citate erano localizzate nella zona collinare, segno che la pianura era ancora disabitata e periodicamente invasa dalle acque dei torrenti.

Le colline viceversa costituivano un rifugio più sicuro, fin dai tempi delle scorrerie degli Ungheri (900 – 950): così il nucleo principale del paese stava sul dominante colle di S. Lucia ed era provvisto di chiesa, fortificazioni ed abitazioni.

Altri antichi insediamenti stavano probabilmente sui colli di Riva e S. Stefano.

È probabile che, in seguito alla distruzione della rocca sul colle, si sia dato avvio ad un nucleo abitato verso la pianura, nei pressi dell’attuale centro, e che si sia edificata la dimora fortificata del Torrione. Scomparsi gli Ezzelini, i territori passarono sotto il controllo di Vicenza, ma vennero poi contesi tra i Carraresi di Padova e gli Scaligeri di Verona; il paese dovette subire le conseguenze di tali conflitti, fino al saccheggio patito per due volte (1312 e 1314) ad opera dei padovani, che portò alla completa rovina dell’insediamento sul colle, che venne allora abbandonato.

Sotto i vincitori Scaligeri, mentre a Marostica si erigevano castello e mura, Breganze comincia a svilupparsi ai piedi dei colli.

Nel 1384 il vicentino passa sotto il controllo dei Visconti di Milano, fino alla morte di Gian Galeazzo dopo la quale, nel 1404, i comuni veneti e Breganze aderirono con plebiscito alla Repubblica di Venezia.

Si aprì allora un periodo di stabilità e di relativa tranquillità, interrotto però dagli eventi della Guerra di Cambrai, mossa da Papa Giulio II contro Venezia: nel 1509 4.000 cavalieri di Massimiliano d’Asburgo diretti a Padova vennero respinti sugli spalti del torrente Chiavon Bianco dai breganzesi, che evitarono così le rovine già provate da altri centri vicini.

Fra il ‘300 e il ‘400 i presidi di difesa dell’abitato erano attestati sui due piccoli colli sui quali sorgevano il Torrione e la Tor Bissara.

Le numerose torri Colombare furono invece edificate solo dopo la metà del ‘400, in periodo veneziano, ed erano edifici con ruolo di rappresentanza delle grandi famiglie proprietarie, delle quali illustravano l’importanza con la loro mole, la loro dislocazione, le loro insegne.

Secondo il Dalle Nogare, che nel suo libro ne localizza e descrive ben 16, esse avevano origini più antiche e compiti difensivi, poi cessati con l’adesione a Venezia; la tesi è difficilmente sostenibile, come nota anche il Rigon nel suo specifico studio.

Verso la fine del Duecento, il territorio di Breganze era diviso in quattro zone o colmelli: Fara, Perlena, Castelletto e Riva; essi si trasformarono poi in comuni e, dal 1560, quando Fara divenne autonoma, il territorio si delimitò grossomodo sui confini attuali con tre comuni componenti: Riva, Castelletto e Porciglia, che avevano sede rispettivamente nella chiesetta di S. Stefano, in un locale non definito, e nel capitello della Vegra, luoghi nei quali si convocavano le adunanze dei capifamiglia. Scomparsi i Poncio, i territori andarono alle prime famiglie possidenti, come i Monte, che nel ‘500 dettero due arcipreti al paese e che abitavano Cà 6 Ostile, proprietari di 667 campi, o come i Pagello, che nei loro 500 campi avevano case, mulini e la superstite colombara affrescata.

C’erano poi la potente famiglia dei Bissari, con la loro forte torre cintata, i Mascarello, i Sesso e i vicentini Chiericati.

Si bonificarono le pianure, si scavarono le rogge, lungo le quali vennero attivati vari mulini da grano e per botteghe artigiane.

Nel 1519 Breganze passò dalla giurisdizione del quartiere S. Stefano di Vicenza alla Podesteria di Marostica.

La presenza veneziana dispose ordine nel territorio, disciplinandone l’uso tramite due istituzioni principali: il Magistrato delle Acque e il Magistrato dei Beni Inculti.

La chiesa assunse un ruolo di notevole importanza, confermandosi anche perno della vita civile: dopo il Concilio di Trento (1563) essa divenne anche riferimento per la tenuta dei registri anagrafici della popolazione. Chiesa, piazza e campanile si impongono come centro urbanistico del paese; a Breganze la parrocchiale era, già alla fine del ‘200, la chiesa di S. Maria, che ospitava la tomba dei Pagello.

Nel ‘600, completate le opere di bonifica avviate due secoli prima, lo sfruttamento dei terreni era ormai soddisfacente.

Si costruirono complessi rurali (come il Maglio) e residenze signorili di notevole valore architettonico, che conferirono una nuova fisionomia all’abitato.

Nuovi proprietari sono i Piovene, i Brogliati, i Monza, i Diedo.

In centro tra il ‘500 e il ‘600 si eressero una serie di edifici lungo via Pieve, ad opera del Chiericati, dei Carli, dei Brogliati e dei Saccardi. Breganze si afferma in quest’epoca come terra di ottimi vini: Vespajolo, Groppello e Pomello furono magnificati da vari visitatori, assieme all’olio e ai frutti di vario tipo ed in grande abbondanza. Motivi, questi, che fecero da subito Breganze un territorio conteso e una zona generosa per la prebenda:”

Breganze dal buon vin, dal ricco prete”, scriveva nel 1600 il Dottori. Nel 1697, con la costruzione di un oratorio per disposizione di Giovanni Brogliati, il borgo di Maragnole segnò una prima tappa sulla strada del riscatto da semplice area di sfruttamento agricolo.

L’orgogliosa identità del paese dovrà comunque attendere fino al 1957, dopo lunghe contese, per essere riconosciuta come parrocchia autonoma.

Nel 1797, con il Trattato di Campoformio, si dissolse la Repubblica Veneta: Napoleone cedette la regione all’Austria, appartenenza poi confermata dal Congresso di Vienna nel 1815.

Si avvia una progressiva forte crisi nelle campagne; il patriziato veneto, proprietario della quasi totalità dei terreni, li conduceva in maniera semifeudale, gettando nella miseria la classe contadina.

Il 5 agosto 1809 i tre comuni di Riva, Castelletto e Porciglia decisero l’unificazione in un unico comune con il nome di Breganze: le tre teste raffigurate nell’attuale stemma comunale rappresentano appunto le sue tre antiche contrade.

L’11 marzo 1838 il vecchio campanile crollò sulla chiesa.

La parrocchiale venne riedificata in due anni, mentre l’imponente progetto Diedo per la torre campanaria arriverà a compimento solo dopo 55 anni.

Nel 1834 Giacomo Brogliati con testamento lasciò al comune proprietà e rendimento a favore dei poveri ed infermi del paese.

Ciò provocò un marcato afflusso di miserabili, attratti dal sussidio in tempi di crisi nera nei campi. Nel 1899 questo lascito venne fuso con il testamento di Gerolamo Contro e fu istituito un ospedale, integrato da un ospizio.

Con il 1866 si ebbe il passaggio dal veneto al Regno d’Italia e dal 1871 iniziò il regolare funzionamento dell’anagrafe comunale.

Si potenziarono le vie di collegamento: nella seconda metà del secolo venne costruito un ponte sull’Astico, si realizzò il collegamento con Lusiana e l’Altopiano e si rimodellò la salita della Gasparona.

La fine dell’800 fu caratterizzata dalla presenza delle forti personalità dei tre fratelli sacerdoti Scotton: Jacopo, Gottardo e l’arciprete Andrea. Difensori strenui del potere temporale del Papa, entrarono in conflitto con il ceto proprietario liberale che governava il paese e che appoggiava apertamente il nuovo Regno d’Italia con Roma capitale.

Gli Scotton presero abilmente la parte dei miseri contadini, organizzandoli economicamente e facendone fedelissimi parrocchiani ed elettori oltreché, nei ceti medi, militanti ed amministratori comunali clericali.

Si costruì qui un “modello” che, assieme a quello prodotto da Mons. Arena a Sadrigo, fu esemplare dell’azione prodotta dall’enciclica Rerum Novarum.

Se, a metà dell’800, l’analfabetismo superava il 50% nella riviera di Marostica, dopo l’unificazione si ebbe un notevole impulso per la pubblica istruzione.

Già nel 1879 le scuole locali erano tra le migliori e nel 1882, con la costruzione del nuovo edificio delle elementari, si attuò la prima opera pubblica significativa.

In questi anni di forte crisi agraria, rilevante era l’emigrazione, contro la quale operarono fortemente gli Scotton (mentre era assente una qualsiasi azione amministrativa). Il periodo tra i due secoli vide Breganze assumere molti dei tratti moderni, con l’avvio di rilevanti attività manifatturiere (Laverda e Zoppelletto), di cooperative agricole ed economiche.

Nei primi anni del secolo, dopo una fase di alternanza tra liberali e clericali, fino alla I guerra mondiale si ebbero una serie di giunte comuni.

A conferma della vitalità della presenza cattolica, è da notare nel 1907 la fondazione della congregazione delle Suore Orsoline, ora diffusa nel mondo, ad opera di suor Giovanna Meneghini. La guerra giunse a sfiorare il paese, posto nelle retrovie del fronte attestato nel 1916 – 17 tra il Pasubio, l’Altopiano e il Grappa.

Trascorsero poi il periodo fascista, la II guerra mondiale e le lotte di liberazione, vicende accompagnate da segni di “afascismo” da parte di Chiesa e popolazione.

Ne pagarono un pesante prezzo 5 giovani di Maragnole, fucilati nel 1944 a Mason dai fascisti per rappresaglia.

Vanno anche ricordati i numerosi cittadini che lasciarono la vita nella follia delle due guerre mondiali. Nel dopoguerra il paese venne rilanciato con l’evolversi delle produzioni Laverda, che dopo l’autarchia si affermarono anche sui mercati stranieri.

La vita locale rimase tuttavia nello schema di controllo impostato dagli Scotton e vedeva la chiesa di Mons. Prosdocimi e il paternalismo dei Laverda governare di comune accordo con la maggioranza politica centrista i vari aspetti del paese fino alla morte, nel 1970, del longevo arciprete (a Breganze dal 1916) e la cessione delle industrie Laverda alla Fiat nel 1982.

Tra gli anni ‘60 e ‘80 il paese si espande velocemente verso sud, oltre la Gasparona; la combinazione tra lavoro dipendente e piccola proprietà diffusa ne fa un centro con buon livello di benessere.

Nello stesso periodo, purtroppo, alcune rilevanti testimonianze della storia locale degradano e vanno perdute. (Testo a cura di Sergio Carrara)

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