I numerosi appuntamenti del festival
New Conversations – Vicenza Jazz di venerdì 19 maggio ruotano attorno alla presenza del pianista sudafricano
Abdullah Ibrahim, che si esibirà in piano solo, in esclusiva europea, al Teatro Olimpico (ore 21). Una partecipazione artistica di enorme spessore storico: un’occasione a suo modo unica per assaporare ancora una volta la sintesi altamente suggestiva tra le radici africane e il free americano realizzata da uno dei mostri sacri del piano jazz moderno, alla soglia dei novant’anni.
La serata musicale vicentina proseguirà al Jazz Café Trivellato nel Giardino del Teatro Astra (ore 22:15) dove si ascolterà il trio della cantante e pianista
Noa Fort, rappresentativa della creativa schiera di musicisti israeliani di base a New York. Con lei ci saranno Leonor Falcon alla viola e Oriol Roca alla batteria. Altamente suggestivo è poi il concerto di mezzanotte al Cimitero Maggiore, una tradizione ormai consolidata del festival: ne saranno protagonisti la clarinettista sarda Zoe Pia e i
Tenores di Orosei.
Inoltre, nel pomeriggio, un nuovo appuntamento a Palazzo Thiene (ore 18) con i giovani talenti della sezione “Proxima”: la cantante
Giuditta Franco proporrà il progetto “Trail of Dreams” in quartetto con Igor Ambrosin (pianoforte), Francesco Bordignon (contrabbasso) e Francesco De Tuoni (batteria).
Nato a Città del Capo nel 1934,
Abdullah Ibrahim (prima della conversione all’Islam era già diventato famoso col nome di Dollar Brand) è uno dei pochi musicisti africani ad aver raggiunto un ruolo da protagonista nel jazz mondiale. Ed è sicuramente il sommo rappresentante del jazz sudafricano: il suo disco di esordio (Jazz Epistle Verse 1, 1960) è stato il primo Lp di jazz realizzato da artisti di colore in quel paese.
In seguito all’inasprirsi dell’apartheid e alle continue ingerenze governative nella vita dei musicisti, Abdullah Ibrahim lascia il Sud Africa nel 1962. Si trasferisce in Svizzera, dove trova un ingaggio a lungo termine al Club Africana di Zurigo. Convinto dalla compagna di Ibrahim, Duke Ellington assiste a una delle sue performance in trio. Ne rimane talmente colpito da ‘sponsorizzarne’ subito un’incisione discografica: Duke Ellington Presents The Dollar Brand Trio (1963). Ellington ha visto giusto: nel giro di pochi anni l’ascesa di Ibrahim nel mondo del jazz è rapidissima. Nel 1965 si sposta a New York, dove interagisce con nomi del calibro di Don Cherry, Ornette Coleman, John Coltrane, Pharoah Sanders, Cecil Taylor, Archie Shepp, Billy Higgins, Elvin Jones. In alcune occasioni sostituisce addirittura Ellington alla guida della sua orchestra.
Gli anni Settanta sono un decennio di intensa attività (spiccano incisioni con Shepp, Cherry, Max Roach). Da allora la sua carriera non ha conosciuto pause né cedimenti: difficile sintetizzare tra una miriade di eventi significativi (dal settetto che incide Ekaya, alle produzioni sinfoniche). Ma l’aspetto più suggestivo e rappresentativo della sua arte è l’esibizione in solo, documentata su numerosi dischi e in una continua attività dal vivo. È in questo contesto che emerge compiutamente il suo stile distintivo dalla possente definizione ritmica, sontuosa e iterativa, e dai disegni melodici di palpitante dolcezza, nostalgici, intensamente evocativi. Ed è proprio un piano solo l’ultimo disco aggiuntosi alla sua sterminata discografia (oltre cento titoli): Solotude (2020), che dimostra come questa icona del jazz africano sia ancora al suo zenit artistico. Al concerto di mezzanotte al Cimitero Maggiore si incontreranno i due estremi della musica sarda: il lato sperimentale rappresentato dalla clarinettista e launeddista Zoe Pia e la più antica tradizione canora isolana incarnata dalle quattro voci dei Tenores di Orosei. Dall’interazione tra estetiche opposte emerge una musica inaudita, in bilico tra l’arcaico, il sacrale, l’avanguardistico, nella quale si percepisce il respiro ancestrale dell’isola.
Il suono delle launeddas e del clarinetto opportunamente trattati con effetti elettronici e loopstation, il rintocco dei campanacci e gli strumenti tipici delle processioni si uniranno alle screziate armonizzazioni delle voci dei tenores: una stratificazione sonora capace di trasmettere un senso di eternità, restituendo un’atmosfera mediterranea privata di qualunque riferimento temporale. Il senso dell’arcano, espresso però con un linguaggio musicale vivo e pulsante.
Noa Fort fa parte della sempre più nutrita e creativa schiera di musicisti israeliani riaccasati a New York: ormai molta dell’innovazione jazzistica statunitense ha cromosomi mediorientali. Noa Fort entra in contatto con la musica sin da bambina, studiando pianoforte classico dall’età di cinque anni. Tuttavia le sue prime esperienze professionali sono state come biologa. La passione per la musica ha poi ripreso il sopravvento e Noa è tornata alla sua passione originaria: rientrata in patria da un viaggio in India dove ha imparato a suonare le tabla, Noa inizia a farsi largo sulla scena israeliana come pianista e cantautrice.
Nel 2013 si trasferisce a New York, dove continua a studiare e forma un trio, che poi diviene quartetto. Parallelamente suona con William Parker, Hamid Drake, Francisco Mela, Satoshi Takeishi… Nel 2018 esce il suo primo disco da leader, No World Between Us, seguito nel 2021 da Everyday Actions. In essi si percepiscono le sue molteplici ispirazioni, dal jazz strutturato alla musica completamente improvvisata, dal rock ai suoni del mondo.
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